Quest’anno ho allestito un piccolo palco nel giardino dietro casa. Lucine colorate, uno sgabello, microfono, e qualche telo nero per fare da sfondo. Lo uso per registrare video, sketch, esperimenti per il mio canale. È il mio angolo creativo, niente di troppo serio. Abito in una bifamiliare a Milano, la porta accanto è di una coppia con due figli piccoli, ma non ci parliamo molto.
Una sera d’estate, verso le sette, stavo sistemando le luci quando sento qualcuno muoversi dietro la siepe. Prima penso sia il cane, poi mi giro e vedo una bambina — avrà avuto otto anni — che sbuca dal cancelletto socchiuso. Capelli castani arruffati, vestitino lilla. Non dice niente. Guarda il palco e si siede. Poi, senza preavviso, comincia a cantare.
Piano, con voce sottile, intona una canzone di un cartone animato. Io la fisso, non so bene cosa fare. Alla fine accendo le luci. Lei sorride e continua, come se fosse a Sanremo. Quando finisce, fa un inchino. Mi guarda seria e dice: “Posso tornare domani?”
Il giorno dopo trovo un foglio infilato nella buca delle lettere. Sopra ci sono disegnate stelline, coriandoli e un messaggio scritto in stampatello con i glitter:
“Grazie di avermi fatto sentire una star. Ti faccio lo spettacolo la prossima volta! — Emma”
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