Ciao!
Vorrei raccontare la mia esperienza con coinquilini e frigoriferi,
che secondo me meriterebbe una tesi in antropologia.
Appartamento da tre.
Tre stanze, cucina condivisa, un frigo di medie dimensioni con tre ripiani.
Uno per ciascuno.
In teoria.
All’inizio abbiamo anche fatto un “patto”: ognuno tiene in ordine il proprio spazio, si condividono solo le salse e l’acqua.
Firmato con strette di mano e sorrisi.
Durato sei giorni.
Il primo a sgarrare è stato Luca, che ha “appoggiato momentaneamente” un pollo crudo nel mio ripiano.
Tre giorni dopo era ancora lì, avvolto con la pellicola tipo scena del crimine, ma ormai in grado di esprimere concetti autonomi.
Poi c’era Francesca, la regina dei tupperware dimenticati.
Una volta ha lasciato un’insalata di riso…
per un mese.
Un mese.
Aveva generato una nuova vita batterica.
Credo mi abbia salutato quando ho aperto la scatola.
Ma il vero disastro era la gestione “flessibile” del concetto di proprietà.
Una volta mi sparisce uno yogurt.
Chiedo.
“Ah scusa, pensavo fosse il mio, ne avevo uno simile.”
(Non era simile. Il mio era alla banana, il suo era un budino proteico al cacao. Ma ok.)
Poi iniziano i “messaggi passivo-aggressivi” attaccati al vetro:
– “Se prendi qualcosa che non è tuo, almeno dillo.”
– “Occhio che segno i livelli delle bottiglie.”
– “Frigo non è sinonimo di buffet.”
Alla fine, il frigo era diviso in territori di guerra.
– Il ripiano in alto era “Francesca ma a volte Luca”
– Il ripiano centrale era “ufficialmente mio ma soggetto a sconfinamenti”
– Quello in basso era “zona neutrale con verdure tristi e salse scadute”
Pagine: 12
Lascia una risposta