L'erba del vicino non è sempre più verde

Storie dal vicinato

Il fumo fa male, i posacenere di più!

Correva l’anno 2000, io e il mio futuro marito abitavamo a 400 km di distanza e, durante i fine settimana, condividevamo un bilocale di proprietà dei suoi genitori, al primo piano di una palazzo di una trentina di alloggi, che avevamo cominciato a sistemare in previsione del matrimonio.

Al pianterreno c’era un laboratorio di analisi, il che significava che ogni sacrosanto mattino, intorno alle sei e mezza e nonostante il cartello sul portone che indicava a lettere cubitale che apriva alle sette e che l’ingresso era dal cortile, un vecchietto a caso ci citofonasse per sapere a che ora facevano entrare. Al piano di sopra marito e moglie. Scorbutici come cinghiali ingrugniti, cafoni al limite del sopportabile. Cominciai ad avere problemi già durante i primi giorni.

Trovavo il balcone costellato di cicche di sigaretta e, più di una volta i panni stesi ad asciugare con vistose bruciature. Ero intenzionata a protestare ma il futuro marito, che li conosceva bene, mi dissuase dal farlo. Lei era convita che tutti le mandassero il malocchio e ogni lamentela avrebbe comportato un rito scaramantico con bacinellate di acqua e olio scagliate dall’alto per ritorcere la fattura.

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Mi limitai a spostare lo stendibiancheria verso l’interno e a passare la scopa ogni volta, masticando accidenti.

Dopo qualche mese mi presi una settimana di ferie per scegliere alcuni mobili che ci mancavano, ero arrivata la sera prima e al mattino, intorno alle sette e mezza mentre ancora stavamo dormendo il sonno dei giusti abbiamo sentito lei che urlava disperate richieste di aiuto.

Mio marito, soccorritore volontario, si infilò qualcosa al volo e corse ad aiutarla, dopo circa un’ora tornò dicendo che al poveretto era preso un infarto fulminante mentre stava entrando nella vasca da bagno e c’era rimasto secco. Per dovere di cronaca le sue parole sono state “ricordi quello che buttava le sigarette accese? Non lo farà più!“.

A parte tutto mi è dispiaciuto, era ancora giovane e la morte non si augura a nessuno, comunque, visto che oramai eravamo entrambi belli svegli, decidiamo di avvantaggiarci con le commissioni da fare e ci prepariamo per uscire.

Tempo un quarto d’ora scarso usciamo di casa e troviamo l’ingresso addobbato con un tavolo paludato di viola, una foto del deceduto listata a lutto e il libro delle firme, con tanto di cartello “Ci ha lasciati il compianto Pinco Pallino”. Contemporaneamente arrivano i primi parenti in visita: un esercito di matrone vestite a lutto che suonano il campanello e, appena la neovedova risponde, cominciano a urlare in dialetto strettissimo lamentazioni e maledizioni alla sorte. Noi sgattaioliamo velocemente lasciandole alle loro urla.

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Quando c’è stato il funerale, due giorni dopo, la bara è scappata di mano ai becchini e ci ha sfondato il rivestimento della porta.

Dopo una settimana, mentre ero in salotto, ho sentito un fortissimo rumore come se stesse tuonando. Perplessa, visto che il cielo mi appariva sereno, ho fatto per uscire sul balcone per vedere se stesse arrivando un temporale. La fortuna mi è stata amica, e sono stata solo sfiorata dal lancio, dal piano di sopra, di un paio di enormi posacenere in marmo, di alcuni accendini in stile anni ’70, per intendersi di quelli che si tenevano in bella mostra sui tavoli e che pesavano almeno mezzo chilo l’uno e una ventina di pacchetti di sigarette mentre la tizia urlava “CHISTE FITUSE ACCISO ME L’HANNO!!!!”

Ci siamo sposati dopo qualche mese e sono rimasta subito incinta, abbiamo deciso di trasferirci perché ci mancava la cameretta per il nascituro. Abbiamo avuto ancora notizie di lei dagli affittuari dell’appartamento. Continuava a praticare riti scaramantici inondando il balcone di acqua e olio e aveva deciso che andare a buttare l’immondizia nei cassonetti fosse un inutile dispendio di tempo e di energia, molto più pratico gettare tutto nei contenitori per la raccolta della carta che sono stati installati all’ingresso.

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Non mi manca, non mi manca per niente.

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