L'erba del vicino non è sempre più verde

Storie dal vicinato

La recinzione

Sono un cantoniere/giardiniere/boscaiolo che lavora per una ditta che ha in appalto svariati giardini pubblici nel pesarese.

Stamattina ero in un complesso scolastico di Urbino, intento a smadonnare in finlandese, euskera e dialetto montefelcinese per tagliare con il decespugliatore una specie di foresta vergine fatta di edera, avena, vitalbe, alloro.

Mentre sono impastato di robaccia verdastra e sudore mi sento chiamare a gran voce da dietro una recinzione provvisoria che separa il vialetto interno dove sto sgobbando, da un parco pubblico.

“Giovanotto!
Senta, giovanotto!
Può venire qua, per cortesia?”.

Mi avvicino, temendo il peggio.

“Senta, giovanotto, ma lei lo sa che i ragazzini scavalcano questa rete per entrare qua dentro?
Dal mio balcone, lassù, ne ho visti sedici che scavalcavano qui per entrare a scuola.
Qui si deve fare qualcosa, non si può andare avanti così. Cosa hanno nella testa ‘sti ragazzi?”

Io, sconsolato, scocciato, affranto, bagnato fradicio alzo le braccia e dico che ‘ste cose le deve riferire al preside della scuola, non a me che sono l’ultimo arrivato in cooperativa e che son lì solo per tagliare le erbacce.

Ecco un altro VDI:   Balera

La vegliarda continua a insistere.

“Dovete fare qualcosa!
Cosa hanno nella testa ‘sti ragazzi?
Ma non si vergognano?”

Sono stanco, scoglionato, impossibilitato a sfanculare la vicinemmerd e a sacrificarla agli dèi inferi con apposito rituale.

“Signora, si rivolga al preside!”.
“Lo faccio sempre, ma non mi dà mai retta!”.

E te credo che non ti caga nemmeno di striscio.
Si sarà rotto l’anima pure lui.

Mi giro, accendo il decespugliatore e ricomincio a lavorare, la vecchia smamma, pronta a spargere disagio e cagacazzaggine altrove.

Domani è un altro giorno, ma la recinzione di fianco al parco pubblico la affido al collega.
Saranno cazzi suoi.

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